Quanti capi ci ritroviamo nell’armadio, per poi indossare sempre gli stessi? E soprattutto, perché lo facciamo? Dalla più comune frase “Questo lo metti su tutto!” nasce la rubrica “L’abito buono”, un onore al merito per tutti quei capi passpartout tenuti nell’armadio come reliquie, che hanno salvato e continuano a salvare dalle situazioni più drammatiche di crisi da outfit perfetto.
Ma quale sarà il capo che racconteremo oggi?
Il costume da bagno
È vero, forse non può considerarsi un capo passpartout o per ogni occasione, ma di certo può essere definito il più utilizzato nella stagione estiva.
Le varianti sono infinite e per ogni stile: dal bikini al trikini, più o meno sgambato, con o senza coppe: ardue scelte, anche se, ormai, associate al quotidiano.
Ma il passato cosa racconta?
Per prima cosa che, un tempo, il costume da bagno non esisteva proprio.
La diffusione dei primi costumi, o meglio, vestiti da bagno, intercorre, infatti, tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. Questi erano formati da pantaloni a palloncino ad altezza polpaccio, con un abito lungo fino al ginocchio e delle scarpine allacciate.
Il senso della nudità e del pudore era fortemente sentito, specialmente nell’abbigliamento femminile. Di conseguenza, parallelamente alla diffusione dei primi costumi, fecero la loro comparsa anche le macchine da bagno. Cos’erano, vi chiedete? Immaginate delle cabine mobili che, trasportate in acqua alta da cavalli, permettevano alle donne di cambiarsi, lontano da sguardi indiscreti.
Gli stessi sguardi che, nel 1907, portarono la nuotatrice australiana Annette Kellerman ad assere arrestata a causa di un costume utilizzato durante una sua esibizione. Braccia, gambe e collo scoperti: decisamente audace per l’epoca. A tal punto che la Kellerman fu costretta ad indossare dei costumi più coprenti nelle esibizioni successive. Tuttavia, a seguito dello scandalo, il costume subì, finalmente, una vera e propria rivoluzione: le porzioni di tessuto andarono via via a rimpicciolirsi, scoprendo braccia, cosce e perfino il decolletè. C’è da dirlo: grazie Annette.
Il 1930 segnò la svolta nei tessuti e materiali. Abbandonati lana e cotone semplice, le porte furono aperte al lastex: tessuto elasticizzato e confortevole, al quale nessuno poteva resistere. I costumi iniziarono a segnare maggiormente la vita, ed il pezzo unico o intero, lasciò finalmente spazio al primo, seppur rudimentale, due pezzi: pantaloncini a vita alta e reggiseno apparivano già come una conquista.
E il bikini?
Il nostro amato bikini, o meglio il suo antenato, fece la sua comparsa negli anni Quaranta, grazie alla brillante intuizione del sarto francese Jaques Heim. La sua proposta fu quella di un costume due pezzi con ombelico a vista. Lo chiamò Atome, in onore della scoperta del primo atomo. Ovviamente fu causa di scandalo e fu vietato per molti anni dalle forze dell’ordine.
Qualche mese dopo, tuttavia, Louis Reard decise di riprovarci, proponendo una versione molto affine a quella proposta da Heim. Lo chiamò Bikini, in onore dell’omonimo atollo, in cui vennero eseguite le prime prove per la bomba atomica.
Ed il bikini esplose letteralmente, conquistando l’intero sistema moda, fino ad essere utilizzato senza alcun pregiudizio all’avvento degli anni Sessanta.
Sarà sempre negli anni Sessanta che verrà registrato il marchio Lycra, che diede nome al tessuto che portò il bikini alla sua massima diffusione: un materiale innovativo, di qualsiasi colore, che asciugava in fretta ed aderiva perfettamente al corpo, evitando scomode trasparenze. Il bikini comparve, da allora, in tutte le sue forme. Nel 1964 in America venne lanciata anche la moda del monokini: noi lo chiameremo topless.
Quando si dice che l’attesa premia.
Non parliamo di Fashion, non parliamo di Book. Parliamo dell’&
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