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5 Settembre 2019

L’abito buono: la t-shirt in cotone

Quanti capi ci ritroviamo nell’armadio, per poi indossare sempre gli stessi? E soprattutto, perché lo facciamo? Dalla più comune frase “Questo lo metti su tutto!” nasce la rubrica “L’abito buono”, un onore al merito per tutti quei capi passpartout tenuti nell’armadio come reliquie, che hanno salvato e continuano a salvare dalle situazioni più drammatiche di crisi da outfit perfetto. 
Ma quale sarà il capo che racconteremo oggi?

La t-shirt in cotone

La t-shirt, chiamata anche “tee” è un capo tendenzialmente in cotone, privato di bottoni e colletto, versatile ed adatta ad occasioni informali, abbinata ad un paio di pantaloni, o formali, magari sotto un abito. Esiste sia in modalità manica lunga che corta, sebbene la manica corta sia maggiormente entrata a far parte dei must have del nostro armadio… ma qual è la sua storia?

Le prime t-shirt ebbero la loro diffusione attorno al XVIII secolo. Allora facevano parte dell’abbigliamento intimo maschile. La comodità del capo ed il suo largo uso, portò la t-shirt a prender piede, fino a raggiungere, nel XIX secolo, anche gli ambienti del lavoro operaio. Per i marinai, ad esempio, fu coniata la variante a righe orizzontali, mentre le forze armate statunitensi la introdussero come parte della divisa. La maggiore diffusione della t-shirt si ebbe, tuttavia, durante la seconda guerra mondiale, ovviamente attraverso il contributo delle truppe americane, a cui seguì la fine del conflitto.

Ma in che periodo la t-shirt entrò a far parte dell’abbigliamento comune?

L’uso della t-shirt in qualità di capo must have ebbe il suo culmine negli Anni Cinquanta, attraverso lo strumento di massima diffusione della moda americana: il cinema.
Vi dice nulla James Dean? Il bello e dannato de Gioventù bruciata fu il primo, insieme a Marlon Brando, ad indossare la tipica t-shirt a maniche corte sul grande schermo. Rigorosamente bianca, s’intende, abbinata ad un paio di jeans.

Ma in che modo la t-shirt si affermò nel panorama vestiario unisex?

Semplice. Quando oltre a capo d’abbigliamento innovativo, s’impose anche come veicolo di comunicazione all’interno della società. La prima donna ad indossarne una fu, difatti, proprio Marilyn Monroe. Casi? Non credo proprio.
Durante gli Anni Sessanta, periodo delle rivoluzioni, la t-shirt assunse un ruolo fondamentale nella moda femminile. Le t-shirt manifesto, combinate alla mini gonna firmata Mary Quant, saranno, infatti, il primo strumento comunicativo volto alla rivalsa dei propri diritti.

E i messaggi?
Erano vari. E continuarono a variare nel corso degli anni, per lo meno fino alle Fioruccine. Elio Fiorucci fu il capostipite del marketing simbolico sulle t-shirt. Egli, attraverso l’Interpretazione della stampa come strumento di stile, diede l’avvio ad un vero e proprio codice d’abbigliamento volto a riconoscersi ed identificarsi, presente all’interno del sistema moda. Detto in termini basici, il perché si decida di vestirsi in un modo piuttosto che in un altro.


E dopo la storia, parliamo di etimologia. Perché T? 

È più semplice di quanto crediate. Deriva semplicemente dalla sua forma. Immaginiamo di stendere una t-shirt in piatto, su un tavolo o un asse da stiro. Che cosa vi ricorda la sua forma? Esatto, proprio una T.

Non parliamo di Fashion, non parliamo di Book. Parliamo dell’&.

 

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Filed Under: L'abito buono

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